Il controverso rapporto dei vini bianchi con le bucce
L’enologia non è una scienza esatta, è piuttosto un insieme di abitudini e costumi che si succedono nel tempo. Per questo semplice motivo non è possibile affermare quale sia lo stile di vinificazione esatto, né quale sia il vino perfetto.
Se la vinificazione delle uve a bacca nera ha come caposaldo l’estrazione dalle bucce di una parte o di tutto il loro contenuto, sui vini bianchi il rapporto tra le bucce e il mosto è più complesso. Cercherò qui di fare un sunto dei principali stili in voga oggi.
Vinificazione in assenza di bucce con pressatura soffice seguita da flottazione
Le uve vengono poste intere in una pressa pneumatica che lavora a pressioni inferiori ad un bar. Il mosto viene poi immediatamente flottato, con l’aggiunta di enzimi e di chiarificanti: raggiunto un buon livello di limpidezza (20 – 50 NTU), il mosto viene travasato per essere quindi inoculato con i lieviti selezionati. Il nemico, secondo questa tecnica, sono le parti solide provenienti dalla pressatura dell’uva, in quanto apportano polifenoli. Oltre ai polifenoli però esse contengono anche molti composti preziosi: precursori aromatici, acidi grassi polinsaturi, tra cui il linoleico (omega 6) e il linolenico (omega 3), steroli e una frazione non trascurabile di composti azotati. Possiamo definire questa vinificazione come sottrattiva: si toglie tutto ciò che possono cedere le bucce, poi si inocula il lievito. Per evitare che la fermentazione alcolica si arresti o l’acido acetico superi la soglia di 0,30 g/L è necessaria una corposa aggiunta di derivati di lievito che hanno lo scopo di ripristinare (parzialmente) i composti utili prima sottratti con la flottazione.
Vinificazione in assenza di bucce con pressatura soffice e sosta a freddo
Le uve vengono poste intere nella pressa, spremute fino ad un bar; il mosto è trasferito in una vasca di acciaio inox dove viene lasciato decantare a freddo. Se la sosta a freddo viene svolta in assenza di enzimi e di chiarificanti l’integrità del prodotto è buona; se invece si aggiungono enzimi e chiarificanti (al fine di abbattere i polifenoli) il mosto viene spogliato di molti elementi utili alla qualità del vino. La chiarifica con enzima, seguita da gelatine vegetali o animali e infine bentonite, porta ad un crollo della torbidità fino a 20 NTU. Nella parte torbida rimangono sostanze insolubili o poco solubili come gli acidi grassi a lunga catena che sono necessari ai lieviti per costituire le membrane cellulari. L’acido linoleico (omega 6) e l’acido linolenico (omega 3) inoltre sono precursori di aromi gradevoli quali la mela verde e la pesca bianca. Lavorando a basse NTU questo potenziale aromatico viene perduto. Anche in questo caso è necessario l’utilizzo di derivati di lievito per ripristinare in parte la perdita dei composti utili sottratti con la chiarifica.
Vinificazione in assenza di bucce con pressatura soffice e stabulazione a freddo
Dopo la pressatura delle uve ad 1 bar il mosto viene posto in un serbatoio coibentato dove le parti solide vengono risospese a temperatura prossima agli 0°C, mantenendo alta la torbidità del mosto (oltre 1000 NTU). Lo scopo della stabulazione è trasferire dalle parti solide al mosto molecole utili quali gli acidi grassi linoleico e linolenico, gli steroli, i composti azotati. Al termine della stabulazione si travasa il mosto, solitamente con una torbidità tra i 150 e i 200 NTU e si inoculano i lieviti (il mosto deve essere portato a 10°C). I vini che si ottengono da questo protocollo hanno un colore carico, presentano riflessi verdi ed esprimono un maggiore spessore al palato. Certamente il tenore in polifenoli è maggiore che nei precedenti protocolli, ma i polifenoli stessi vengono protetti dai peptidi riducenti estratti durante la stabulazione. Lo scopo è gestire i polifenoli piuttosto che sottrarli. Lo stato di maturazione delle uve in questo caso non deve essere troppo spinto, diciamo che un limite può essere dato dall’acido malico dell’uva che deve essere superiore ai 2 g/L sul mosto in uscita dalla pressa.
Vinificazione in presenza di bucce prima della stabulazione a freddo
Le uve vengono poste in pigiatrice, inertizzando l’atmosfera con ghiaccio secco e il pigiato è passato immediatamente allo scambiatore per raggiungere la più bassa temperatura possibile. Esso viene posto in un serbatoio di acciaio inox saturo con gas inerte (azoto o argon) dando inizio alla criomacerazione che permette il diffondersi di molte sostanze dalle bucce al mosto: l’acido malico, gli acidi grassi e molti precursori aromatici, nonché un abbondante tenore di alfa amminoacidi e di peptidi. La temperatura del pigiato deve essere prossima a 0°C gradi e mantenersi costante per 3 giorni: solo in queste condizioni si ha una estrazione selettiva, che escluda i polifenoli e comprenda tutti i componenti aromatici, in particolar modo i precursori tiolici e i terpeni. Alla macerazione a 0°C segue la pressatura, che deve essere spinta sino a 2 bar, per completare l’esaurimento delle bucce; il mosto che se ne ricava viene posto in serbatoio di acciaio coibentato dove, sempre alla temperatura di 0°C avviene la stabulazione. Al termine della stabulazione la cui durata non deve essere inferiore ai 15 giorni, avviene la fase di decantazione. Il mosto travasato mantiene una torbidità alta, tra i 250 e i 300 NTU. L’inoculo del lievito avviene a temperatura di 7°C, il che rende molto lento l’inizio della fermentazione alcolica; il lievito può anche non essere inoculato dato che le bucce hanno rilasciato al mosto i lieviti presenti sulla pruina. Il vino che si otterrà sarà ricco in colore con una spiccata componente verde; il suo quadro aromatico godrà di una grande complessità, con una componente terpenica e tiolica dominante.
Vinificazione con fermentazione in presenza di bucce senza ricorso ai lieviti selezionati
Questo tipo di vinificazione prevede che la fermentazione alcolica avvenga a contatto con le bucce, come accade nella vinificazione in rosso. Dopo la diraspatura il pigiato viene posto in serbatoi di cemento, in tini di rovere oppure in anfore. L’innesco della fermentazione alcolica è dato dai i lieviti già presenti nei vasi vinari o nelle uve. E’ importante che la temperatura sia inferiore ai 12°C. L’estrazione dei polifenoli è notevole e questo rende i vini più gialli, talvolta con sfumature aranciate. Va però considerato che i lieviti tenderanno a legare i polifenoli disinnescandone il potere ossidante. Solitamente in questi vini viene fatta svolgere anche la fermentazione malolattica, con un conseguente innalzamento del pH. Sul vino, dopo che le bucce sono state tolte, non vengono effettuate chiarifiche né filtrazioni, semplicemente la decantazione statica. Le componenti aromatiche sono piuttosto interessanti a condizione che la fermentazione alcolica sia stata svolta al di sotto dei 12°C; i norisoprenoidi domineranno sugli aromi fermentativi, la componente idrocarburica potrebbe apparire nel corso dell’affinamento in bottiglia conferendo a tali vini una grande personalità. L’unico punto debole sta nel rischio dello sviluppo di etilfenoli, ma come detto poc'anzi, se la fermentazione avviene a temperature inferiori ai 12°C questo rischio è quasi completamente scongiurato.