Il Montepulciano d’Abruzzo

Il montepulciano d’Abruzzo è un’uva che possiede grandi peculiarità e vanta una forte personalità, ma soffre in alcuni ambienti dove dà risultati mediocri. Tale varietà non ama l’ombra nè l’umidità e riesce a reggere temperature molto alte anche per periodi prolungati. Seppure sia una varietà produttiva non dà il massimo quando le si chiede troppo in termini di quantità.

Nel giusto ambiente, con le dovute potature può dare vini di grandissima potenza. Un montepuciano può raggiungere tranquillamente gradazioni alcoliche potenziali di 15,5% ma in questo caso se l’acidità non viene rinforzata ci si ritroverà a fine malolattica un vino a pH 4. Il colore del montepulciano viene letteralmente sconvolto dalla malolattica, per questo il mio consiglio è di non fare svolgere la fermentazione malolattica sul montepulciano, o per lo meno di attendere fino ad aprile. L’enorme quantità di materia colorante che caratterizza un grande montepulcino viene preservata se il pH del vino rimane inferiore a 3,40 dopo il termine della fermentazione alcolica e per tutto il corso della stagione fredda, durante la quale consiglio di lasciare i tini alla temperatura di 10°C. Al di sopra dei 10°C la fermentazione malolattica potrebbe innescarsi accidentalmente, mentre al di sotto l’evoluzione dei polifenoli verrebbe bloccata. Con l’arrivo della primavira su alcune partite può essere innescata la malolattica che deve essere svolta a temperatura inferiore a 12°C e concludersi con un pH non superiore a 3,55. Il mio consiglio è quello di innescare la malolattica su una parte della massa inferiore al 50%. Si opereranno quindi i blend tra le differenti partite e si deciderà poi se portare l’aliquota delle malolattiche ad un livello superiore.

Il Primitivo

Il primitivo è una varietà estremamente peculiare, per il fatto che ha una maturazione precoce e sviluppa le proprie caratteristiche sensoriali quando è in sovramaturazione. Per questo motivo viene solitamente raccolto quando le gradazioni zuccherine sono molto alte, dando vita a vini ad elevato tenore alcolico, superiori al tenore minimo di 14% e a volte sino a 17% con zuccheri completamente svolti. Vi sono tipologie con gradazioni anche superiori. A tali livelli di surmaturazione è logico attendersi pH molto alti; dato che un tenore alcolico sopra i 15,5% è un potente antisettico naturale, il pH elevato non è particolarmente rischioso dal punto di vista microbiologico. Il problema sta nel fatto che a pH maggiori di 3,80 il potere antisettico ed antiossidante dei solfiti viene di molto ridimensionato; il rischio è perciò che vi sia la tentazione di mantenere molto alti i solfiti in bottiglia per garantire una maggiore longevità. E’ una cosa che sconsiglio vivamente perchè va a discapito del consumatore. Si può benissimo lavorare le uve di Primitivo con tenore di solfiti molto basso, a patto che le temperature durante la vinificazione siano tenute a livello di 14 – 16°C, per favorire il lievito e sfavorire le specie termofile, innanzitutto Lactobacillus brevis e Brettanomyces bruxellensis. Inoltre i legni in cui verrà fatto maturare devono essere siti in un luogo la cui temperatura non superi i 16°C nemmeno nel pieno dell’estate.

Il Merlot

Parlare del merlot è parlare del suo equilibrio, della sua eleganza e della sua plasticità; caratteristiche che rendono questa varietà praticamente ubiqua. Con le uve merlot si possono fare vini dalle più disparate caratteristiche: vini d’annata e vini da grande affinamento.

Il merlot è un’uva ricca di tioli e questo è il segreto del suo caleidoscopico profumo. È un uva che produce vini a gradazioni elevate senza che il suo pH salga particolarmente. Le cuveè di merlot sono molto fresche anche dopo anni. Le uve di merlot hanno l’indiscusso pregio di maturare mantenendo un tenore relativamente elevato in acido tartarico, mentre il tenore in acido malico è piuttosto basso; essendo il tenore in acido malico basso, quando questo viene trasformato in acido lattico dai batteri il pH non sale di molto e questo fatto preserva il quadro fenolico. In condizioni di stress idrico il merlot può dare vini dal colore impenetrabile, ma mai astringenti. La vinificazione del merlot è relativamente semplice, l’unica attenzione va posta alla sua tendenza a formare molecole sulfuree a basso peso molecolare quali l’idrogeno solforato e il metantiolo. Il merlot è un grande rosso, forse l’unico che si può fare senza l’ausilio del legno. E in un mondo dove il legno viene considerato un passaggio obbligato, questa sua indipendenza è ammirevole! Infine il merlot si rivela ingrediente fondamentale per moltissimi blend con l’effetto di smussare le asperità nei vini senza coprirne il carattere.

Il Cabernet Sauvignon

Affrontiamo ora un’uva non semplice: nelle annate fredde semplicemente non matura; nelle annate calde il suo pH sale, fin dalla pigiatura, sino a valori estremamente elevati rendendo concreto il rischio di una fermentazione batterica spontanea e il conseguente incremento dell’acidità volatile.

Il cabernet sauvignon dà il massimo nelle annate in cui il mese di settembre decorre asciutto e soleggiato. Se invece il finale dell’estate è freddo e piovoso la qualità dell’uva sarà irrimediabilmente compromessa. Quando le condizioni climatiche sono favorevoli il cabernet sauvignon dà vita a vini strepitosi i cui aromi sono talmente peculiari da lasciare letteralmente stupito l’assaggiatore.

Il segreto per fare un eccellente cabernet sauvignon è lasciarlo sulla pianta il maggior tempo possibile. Ultima delle uve ad essere raccolta, necessita di iniziare la macerazione a bassa temperatura, prossima agli 0°C: solo in questo modo i precursori aromatici si riescono a diffondere nel mosto senza che si inneschi alcuna fermentazione. Da rimarcare che la criomacerazione va svolta in totale assenza di solfiti! Nella vinificazione di un grande caberent sauvignon i solfiti sono assolutamente da dimenticare, se non altro perchè ostacolano le reazioni enzimatiche durante la fase preferementativa. E’ esclusivo compito del freddo proteggere la macerazione prefermentativa; ma quanto lunga deve essere questa fase? Direi che una decina di giorni a zero gradi sono un tempo sufficiente; se non si riescono a raggiungere temperature così basse i tempi vanno accorciati: a 5°C non ci si può spingere oltre i 2 giorni. Fondamentale è l’utilizzo dell’argon! Utilizzare l’azoto è fisicamente inutile dato che è un gas più leggero dell’ossigeno; utilizzare l’anidride carbonica è decisamente dannoso per motivi che dovrebbero essere noti ad ogni enologo.

Durante la macerazione a freddo si ha il tempo di monitorare l’andamento del potassio e del pH; nella totalità dei casi una aggiunta di acido tartarico in forma (L) sarà necessario. La fermentazione alcolica deve partire quando il pH sarà stabilizzato a 3,40. Consiglio di fermentare con ceppi robusti mantenendo basse le temperature; i rimontaggi vanno dimenticati mentre si può operare qualche follatura. Il consumo degli zuccheri deve essere lento e costante: a fine fermentazione, consumati tutti gli zuccheri, il pH non deve superare il valore di 3,5. La fermentazione malolattica va svolta con cautela, preferibilemente in inverno, senza forzature.