E' la pioggia il migliore attivante!

Fino agli anni 2000 le estati, per lo meno nel Centro e nel Nord Italia, erano spesso fresche e piovose e i periodi di caldo limitati: emblematiche le annate 1995 e 1996, come pure la fine estate del 1998, con il disastroso ottobre 1998 quando caddero oltre 500 mm di pioggia nella località viticola di Ramandolo.

Le gradazioni zuccherine dei mosti erano di conseguenza modeste e la maturazione delle uve era lenta e talvolta tardiva. A quel tempo il problema in una regione come il Friuli era la botrite: sovente una varietà tardiva come il Cabernet Sauvignon veniva raccolta per motivi sanitari, senza avere raggiunto la maturità fenolica né quella zuccherina. All’epoca molti sostenevano che il Cabernet Sauvignon fosse una varietà inadatta per la regione. Ma il Friuli non era l’unica regione che combatteva contro le piogge di fine estate. Nel 1998 in Toscana assistetti a un mese di settembre talmente piovoso da costringere a una raccolta precoce per salvare l’integrità delle uve Sangiovese, che non raggiunsero gli 11% di alcol potenziale naturale.

Il problema ricorrente, per lo meno nel Centro – Nord Italia, erano perciò le gradazioni zuccherine insufficienti, ovvero, volendo indicizzare il parametro, il tenore in carbonio espresso come g/L di zuccheri esosi nei mosti (C): si ricorreva spesso all’arricchimento, specialmente per le uve a maturazione tardiva. A quei tempi (si parla di oltre 25 anni fa!) sentivo poco parlare di azoto: le piante erano rigogliose, spesso la vigoria andava contenuta: molte foglie producono molto azoto, che poi viene traslocato negli acini: si sapeva dai libri di testo che servivano 200 mg/L di azoto (N) per portare a secco un mosto; si utilizzavano i sali tiaminati come regola, a livello preventivo e - col senno di poi - probabilmente a sproposito. Tale consuetudine, peraltro, non era solo italiana; mi trovai in Cile a chiedere all’enologo perché su tutte le schede di vinificazione indicasse l’aggiunta di sali tiaminati e lui mi rispose che la notte gli piaceva dormire! Era il febbraio 2002, la fine di un’Era. Nel nostro emisfero il 2002 fu l’ultimo anno vecchio stile, piogge, botrite, dalla Francia al Sud Italia. L’anno seguente la catastrofe.

Nel 2003 nemmeno i meteorologi erano pronti a ciò che accadde: 4 mesi di caldo continuo, piogge sporadiche: picchi termici che portarono l’inferno in Francia (44°C), in Spagna (46°C), in Portogallo (49°C), in Italia (42°C): decine di migliaia i decessi nel nostro continente (oltre 10.000 persone solo in Francia).

Nel 2003 il rapporto N/C nei mosti (mg/L di azoto prontamente assimilabile / g/L di zucchero) fu di molto inferiore a 1 in molteplici situazioni: mosti da uve disidratate, con 260 g/L di zuccheri e un APA di 70 mg/L, avevano un rapporto N/C di 0,27; impossibile non sorgessero problemi di fermentazione, di riduzione, nonché proliferazioni di batteri indesiderati e del famigerato Brettanomyces. Certo tali problematiche sono eterne come il vino, ma fu nel 2003 che si rivelarono in tutta la loro virulenza. Nel 2003 si cominciò a comprendere che colui che era considerato amico del vino, il sole, poteva rivelarsi un terribile nemico, mentre ciò che era considerato un fastidio per il vignaiolo, la pioggia, era invece essenziale. Un concetto che di per sé è logico: è la pioggia il migliore attivante fermentativo!

Del resto i grandi vini erano nati in epoche ben più fredde di oggi, in zone fresche, pensiamo alla Borgogna, al Reno, allo Champagne, pensiamo al XIX Secolo, quando i nevai sulle Alpi Giulie lambivano i 1800 metri, mentre oggi sono estinti.

Evidentemente i grandi vini nascevano con rapporti tra azoto (N) e carbonio (C) alti, superiori a 1 (200 mg di APA su 170 g/L di zuccheri, ad esempio). Le vendemmie si svolgevano nel pieno dell’autunno, con il freddo. La criomacerazione era un fatto naturale, dato che si raccoglievano uve con temperature di 8 – 10°C. Erano i tempi di Pasteur, quando nacque la moderna enologia e con essa i grandi vini. Di certo quelle uve erano naturalmente ricche in azoto (N), seppur povere in zuccheri (C).

Possiamo dunque concludere che fino all’anno 2000 il rapporto N/C fosse abbondantemente superiore ad 1 nella gran parte delle aree viticole per lo meno in Europa.

Oggi questo rapporto è raramente superiore ad 1 e a volte è inferiore a 0,5 e di conseguenza proliferano i prodotti enologici che forniscono azoto (N), nelle più molteplici forme, con le più molteplici promesse.

Ma i tempi in cui N lo portava la pioggia personalmente desidererei ritornassero.

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La malolattica è davvero necessaria?