La malolattica è davvero necessaria?

Sosteneva il grande Louis Pasteur che la trasformazione dell'acido L(-) malico in acido L(+) lattico, essendo condotta da batteri è da considerarsi una malattia del vino.

Da allora un secolo e mezzo è trascorso e c'è stato tutto il tempo per dimenticare questa lezione. Oggi infatti la moderna enologia ha completamente ribaltato tale assunto, desiderando la trasformazione malolattica già durante la fermentazione alcolica.

Quindi Pasteur si sbagliava? Da medico egli probabilmente diffidava dei batteri e comunque i suoi timori a mio avviso erano più che fondati.

È vero che la malolattica (che gli enologi nobilitano coll'appellativo di fermentazione mentre invece è una semplice via biochimica) costituisce un terremoto per il vino e non solo per il bianco ed il rosato, ma anche per il rosso. Anzi è nel vino rosso che si osservano i maggiori sconvolgimenti, principalmente perchè il pH del vino rosso parte spesso da tenori di 3,60 prima ancora della malolattica e sappiamo che la malolattica incrementa il pH di 0,2 anche 0,3 unità di pH.

Che senso ha innalzare ancora il pH se il vino rosso ha giá un pH di 3,60? Si vuole arrivare a pH 3,80? 3,90? Infine a 4?

È noto che a pH alti la formazione di acido acetico ed acetaldeide è praticamente una certezza; la perdita di colore, altrettanto. Come regolarsi allora? La malolattica è una nemesi o un dogma?

A mio avviso un vino rosso deve svolgere la malolattica solo se il suo pH a fine fermentazione è inferiore a 3,30 e il grado alcolico superiore a 12,5%.Se il titolo alcolometrico è superiore a 14% la malolattica può essere condotta a pH di 3,40.Solo partendo da questi presupposti la malolattica potrà migliorare il vino.

Importante non svolgere la malolattica a fine fermentazione ma piuttosto svolgerla in febbraio, quando le temperature sono basse e il decorso della malolattica sarà più lento. In questo modo avremo un processo più gentile, con un impatto accettabile per il vino.

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