Azoto prontamente assimilabile (APA) e nutrizione del lievito: guida pratica alla fermentazione ottimale
Negli ultimi anni, la gestione dell’azoto nel mosto ha assunto un ruolo centrale nella conduzione delle fermentazioni alcoliche, soprattutto in uno scenario enologico sempre più condizionato da clima estremo e squilibri nei parametri di maturazione delle uve. Il parametro chiave, con forti implicazioni per la fermentazione alcolica è l’APA – azoto prontamente assimilabile, anche noto come YAN (Yeats Assimilable Nitrogen).
L’APA, composto da azoto α-amminico e azoto ammoniacale (NH4)+, è ciò che consente al lievito di condurre una fermentazione regolare e completa, evitando deviazioni riduttive, arresti fermentativi e alterazioni del profilo aromatico.
Ma quanto APA è davvero necessario? In che modo è possibile integrarlo in cantina in modo efficace e sicuro? Qual è il vero impatto dell’azoto α-amminico sulla produzione di aromi fermentativi e sulla qualità del vino?
In questo approfondimento facciamo chiarezza su questi aspetti, fornendo strumenti pratici per enologi, tecnici di cantina e professionisti della filiera.
Cos’è l’APA e perché è fondamentale nella fermentazione alcolica
Un dato importante quando si dà principio alla fermentazione alcolica è il tenore di azoto disponibile per il lievito presente nel mosto (APA = azoto prontamente assimilabile; YAN in inglese).
L’APA è la somma dell’azoto α-amminico e dell'azoto ammoniacale: in letteratura si considera necessario un tenore di APA pari a 200 mg/L espresso come azoto atomico (N); nei vini a carattere fruttato è preferibile partire da mosti con 250 mg/L. Nei vini tiolici la dotazione iniziale ottimale del mosto in APA può essere addirittura superiore a tale soglia, fino a spingersi a 320 –350 mg/L. La parte alfa amminica è solitamente il 60 – 70% dell’APA, mentre la parte ammoniacale è circa il 30 – 40%. NB: vi sono casi in cui in nelle uve il rapporto può essere più a sfavore dell’azoto α-amminico, con maggior aliquota di azoto ammoniacale, ma costituiscono un’eccezione.
In linea di massima possiamo affermare che, posto l’APA pari a 200 mg/L avremo 130 mg/L di azoto α-amminico e 70 mg/L di azoto ammoniacale.
Azoto α-amminico: il motore aromatico della fermentazione
Il tenore in azoto α-amminico è di fondamentale importanza per lo sviluppo di molti metaboliti da parte del lievito.
I mosti che derivano da uve esposte al calore e alla siccità hanno un basso tenore in azoto α- amminico, che decresce quando il grado alcolico potenziale supera i 13%; si può affermare che un tenore in azoto α-amminico inferiore a 80 mg/L sia fortemente insufficiente ai fini di un corretto profilo aromatico.
È possibile integrare l’azoto α-amminico con prodotti enologici (derivati di lievito), ma ai normali dosaggi (40 g/hL) l’effetto è di portare un incremento molto modesto: si possono fornire nella migliore delle ipotesi 20 mg/L. Nel caso in cui ci sia una forte carenza di azoto α-amminico, la sola aggiunta di derivati di lievito non permetterà di sfuggire al rischio di fenomeni riduttivi.
Il rischio dei difetti riduttivi e come prevenirli
Tali fenomeni riduttivi occorrono quando il lievito decompone tutti gli amminoacidi e quindi l’azoto α-amminico scompare: in questa fase il lievito ha certamente utilizzato anche gli amminoacidi solforati, al fine di ottenere amminoacidi più semplici, come l’alanina, che è un amminoacido dal quale il lievito può creare altri amminoacidi più complessi utili al suo metabolismo.
Dalla decomposizione degli amminoacidi solforati si libera nel vino l’idrogeno solforato ed il metantiolo (odore di uovo marcio, aglio), con effetti negativi sulla componente aromatica del prodotto.
Quando intervenire con derivati di lievito e sali ammoniacali
Si può ovviare a questo rischio aggiungendo azoto sotto forma ammoniacale, come il fosfato biammonico o il solfato ammonico.
In linea di massima però una aggiunta di questi sali è sempre rischiosa se non si monitora il tenore di azoto ammoniacale durante la fermentazione alcolica. Potremmo dire che la regola è che non deve esserci mai azoto ammoniacale residuo a fermentazione ultimata.
È bene notare che l’azoto ammoniacale viene utilizzato dal lievito solo quando il tenore in zuccheri è maggiore di 60 g/L: è dunque sbagliato fare aggiunte di azoto ammoniacale al di sotto di questo tenore zuccherino.
Al fine di ottenere vini puliti è consigliabile fare piccole aggiunte di sali, monitorando il consumo dell’azoto ammoniacale. I sali vanno aggiunti quando l’azoto α-amminico è sotto i 20 mg/L e l’azoto ammoniacale è a zero mg/L.
Se alla fine della fermentazione rimane un tenore di azoto ammoniacale superiore ai 20 – 30 mg/L è alto il rischio della formazione di urea, molecola che è un precursore del carbammato di etile. Questo composto è nocivo alla salute e quindi va scongiurata la sua presenza nel prodotto immesso in commercio.
Strategie moderne di gestione della nutrizione nei mosti
poveri in azoto
In conclusione: la siccità ricorrente e le estati sempre più calde rendono le uve non irrigue molto zuccherine, povere in APA e povere in acido acido L-(-)-malico che può arrivare sotto la soglia di 1 g/kg uva; il lievito deve quindi essere supportato con un dosaggio sempre maggiore di sali ammoniacali (meglio se tiaminati) poiché è impossibile e antieconomico fornire tenori di 50 – 100 mg/L di N α-amminico con l’aggiunta di derivati di lievito, in quanto servirebbero 100 – 200 g/hL di attivante organico.
Ecco che uve critiche daranno vini con una aromaticità minore, poiché l’azoto ammoniacale non fornisce aromi, mentre l’azoto α-amminico produce esteri acetici o alcoli aromatici (es il β-fenil-etile).
Quindi è necessario comprendere come il prodotto enologico può dare una mano ad evitare fenomeni riduttivi o arresti fermentativi, ma solo il monitoraggio dell’azoto α-amminico sulle uve può darci un’idea del potenziale quadro aromatico del mosto.
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