Studiamo le proteine (oggi) per eliminare la bentonite (domani)

Tra i coadiuvanti enologici più odiati c’è di sicuro la bentonite e nonostante molta ricerca sia stata fatta in proposito oggi continuiamo ad essere schiavi di questo chiarificante. Tra i tanti usi che la bentonite ha mi limiterò qui a trattare il suo effetto deproteinizzante ponendomi una domanda:

-E’ proprio necessario usare la bentonite per eliminare le proteine instabili?

La Palice risponderebbe:

-Sì, se i test di laboratorio danno un risultato positivo

Ma io insisto.

-E se trovo il modo di rendere stabili le proteine?-

E poi mi dico: le proteine sono dei colloidi, dei colloidi elettropositivi. Sono molto correlate alla difesa della pianta, com’è noto, dagli stress biotici ed abiotici; nel mosto sono presenti fino a 300 mg/L.Chitinasi, taumatina-simili, β-1,3-glucanasi, invertasi, lipide-transferasi, osmotina, le principali.Bene. Essendo queste proteine dei colloidi elettropositivi sono presenti nel vino in stato di sol e quindi non sono visibili.Questo finché il calore non ne modifica la struttura e quindi lo strato solvatazione che le teneva in stato di sol. In poche parole il vino ha una cas proteica.

Ma partiamo da un presupposto. Non tutti i vini hanno bisogno di bentonite. I vini rossi con almeno 12 mesi di vita non danno in genere esito positivo ai test proteici. Qui apro una parentesi. Ci sono troppi metodi per testare le proteine a caldo. Teniamone due.

Uno, quello veloce, prevede che un vino a torbidità di 2 NTU sia posto in bagnomaria a 90°C per 1 ora, dopo di che raffreddato a 4°C per 2 ore e infine, a temperatura ambiente, posto in nefelometro per leggere la torbidità. Se non c’è differenza tra la prima e la seconda lettura il vino può dirsi proteicamente stabile.

Il secondo test proteico, che decisamente preferisco, cerca di essere più aderente alla realtà dei fatti e prevede che il vino, sempre a 2 NTU, sia posto in bagnomaria a 40°C per 4 giorni, dopodiché raffreddato a 4°C per 2 ore e quindi sottoposto alla lettura della torbidità.

Pochi crederanno che il secondo test è più severo del primo. Ma è il tempo e non la temperatura in sé a operare la modifica sostanziale nelle proteine.Resta il fatto che il test di quattro giorni richiede pazienza e dedizione. Come tutte le cose fatte bene dopotutto. E qui chiudo la parentesi sui test proteici.

I vini rossi di un anno, dicevo, sono negativi al test a caldo, il che non vuol dire assolutamente che siano privi di proteine, bensì che queste sono inserite in addotti stabili. Cosa rende stabili al calore questi addotti? Viene da pensare che siano i tannini, per attrazione elettrostatica.Resterebbe quindi l’amara conclusione che, dato che nei vini bianchi e rosati i tannini non li ho, alla bentonite non potrò sfuggire!

Ma io mi oppongo e rilancio: i tannini sono proprio necessari alla stabilità proteica? O non esistono forse altre molecole che possano creare composti stabili con le proteine? Dopotutto non di sole proteine e tannini è fatto il vino. Ci sono molti colloidi glucidici ad esempio, presenti nelle bucce e nelle parti solide che dalle bucce derivano. E ci sono gli acidi grassi, che sono a tutti gli effetti degli acidi carbossilici deboli. L’acido miristico ad esempio interagisce con l’albumina, mentre l’acido palmitico interagisce con altre proteine, creando nuovi composti, degli addotti appunto.

Gli acidi grassi sono naturalmente presenti nelle membrane cellulari dell’uva, come in tutte le membrane cellulari. Gli acidi grassi insaturi agiscono come attrattori con attacco nucleofilo delle proteine sui carboni elettropositivi in corrispondenza delle insaturazioni. Vi è una vasta letteratura in merito, basata sui legami tra acidi grassi e proteine del sangue, come l’albumina umana

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S1388198199001481

https://www.nature.com/articles/nsb0998_827

https://www.researchgate.net/publication/296478720_Albumin-based_drug_delivery_Harnessing_nature_to_cure_disease

Le proteine con funzione di trasporto intracellulare sono costituenti delle membrane cellulari immerse nel doppio stato fosfolipidico e quindi necessariamente hanno una interazione chimica con le componenti lipidiche. Le membrane cellulari sono simili per ogni tipo di cellula, sia animale, vegetale o fungina. Perciò la membrana cellulare dell’uva è costituita da acidi grassi a lunga catena, saturi, monoinsaturi, di insaturi e tri insaturi; nonché, ovviamente da proteine.

Nei mosti in cui la sosta con le parti solide (costituite in buona parte dalle membrane cellulari dell’uva) viene protratta per periodi di almeno 15 giorni e la cui fermentazione successiva viene svolta ad alte NTU, le proteine sono stabili. Questo mi hanno detto i due test che faccio, sia quello rapido (90°C), che quello lento (40°C).

Ipotizzo perciò una correlazione positiva tra gli acidi grassi dell’uva (derivanti dalle parti solide) e la stabilità delle proteine nel vino. Se in fase prefermentativa elimino subito le parti solide e dò corso alla fermentazione con NTU al di sotto di 150 mi troverò ad avere più proteine libere nel mosto, proteine che daranno maggiore torbidità nel test di stabilità.

Se mantengo nel mosto all’uscita dalla pressa una buona aliquota delle parti solide e tengo la torbidità del succo a 1000 NTU per almeno due settimane a freddo, quindi separo dai fondi più pesanti per fermentare a 300 NTU, il vino finito darà test proteico stabile.

Sono conscio di avere fatto una affermazione di un certo peso, e non mi resta che rimettermi alla scienza. La letteratura medica mi ha suggerito le interazioni tra proteine e acidi grassi. La letteratura enologica non mi ha suggerito al momento nulla, ma mi rendo conto che le mie capacità di ricerca sono limitate, perciò attendo con fiducia di trovare presto una pubblicazione enologica inerente all’argomento.

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Torbidità dei mosti vinificati in bianco e tipicità varietale